Works

Ritratto di natura


“L’identica diversità: le sfumature della vita”

 

In questi primi mesi di inizio nuovo anno, le opere di Debora Antonello ci parlano di semi e di piante, di cavoli neri, di olive e di foglie e la figura/presenza umana è intuita, supposta, più che dichiarata.

Lei si presenta come ‘experimenter’, sperimentatrice passionale della vita, quella  vita che si rivela ma non si ostenta.

 Diverso è ciò che non è né uguale né simile ma che volge lo sguardo altrove, che cambia direzione nel suo essere assolutamente Altro. Diverso è ogni essere vivente, frutto fecondo di un singolo gesto, atto creativo della Vita che lo fa essere solo se stesso. Le nervature delle foglie sono diverse nelle diverse foglie, uguali e, nel contempo, assolutamente nuove. Così come ogni altro giorno è un giorno come tutti gli altri perché ad essi, linearmente, si aggiunge ma altresì è un ‘altro’ giorno, unico e irrepetibile.

Debora Antonello è curiosa di diversità e bellezza e, avida di Vita, le incontra spesso senza cercarle. Esse sono lì presenti, sotto ai nostri  occhi che, distratti,  non le sanno vedere perché guardano altro, e si mostrano nella semplicità complessa delle cose semplici e mute. Poeti e pittori hanno, direbbe Nietzsche, il dono di saper raccontare la ‘feconda unicità’ della diversità che emana la luce delle ‘cose inconsuete’.

Ricordando i bei versi di K, Gibran:

“La bellezza è l’eternità che si mira in uno specchio. Ma voi siete l’eternità e siete lo specchio”.

 

Fabio Peserico

 

 

 

Essere qui è magnifico

Essere qui è magnifico è il titolo che Debora Antonello ha scelto per questa mostra.

Un titolo che in sé, nella sua storia custodisce il significato del fare arte e dell’accostarsi all’arte, e che assume un senso particolare oggi, dopo tutto ciò che è accaduto negli ultimi due anni.

Essere qui è magnifico è un verso di Rainer Maria Rilke, tratto dalle Elegie duinesi. Un’opera intrisa di desolazione, di angosciata consapevolezza del limite ultimo che grava sull’esperienza umana; segnata dal retropensiero costante della morte, dall’angoscia per l’aleatorietà di ogni valore in una società che è ormai quella industriale, individualista e alienante, rassegnata all’assenza di Dio. Eppure, del tutto inatteso, nella Settima elegia si incontra quel verso. Una dichiarazione d’amore per la vita. In tedesco, hiersein ist herrlich: suona ancora più semplice e assertivo, incontrovertibile come una constatazione, un’oggettiva presa d’atto.

Vivere è magnifico, spiega poi il poeta, perché anche per la più sventurata fra le anime transitate sulla Terra

«un’ora vi fu (forse, neppure / un’ora piena: un attimo soltanto / da non commisurar con le misure / consuete del tempo; un solo istante / fra due rintocchi) - in cui ciascuna visse / interamente la sua vita; ed ebbe, / di quella vita sua, le vene colme».

 

C’è, nella vita di ciascuno, almeno un istante di grazia e pienezza tanto prezioso da riscattare ogni angoscia. Per Rilke, quell’istante coincide con l’incontro con l’arte. Più precisamente con il mistero dell’ispirazione, l’innesco della creazione artistica: un momento, forse l’unico, che restituisce senso all’intera esistenza dell’uomo.

A distanza di un secolo da quando la Settima elegia fu scritta, Debora Antonello rilegge Rilke e proprio l’incontro con quel verso accende l’ispirazione: si chiude così un circolo virtuoso nel quale le vene della poesia si colmano di vita, generando un nuovo universo di segni e colori. Arte che a sua volta ci ricorda la meraviglia di scoprirci vivi, di essere tornati a respirare. A respirare bellezza – dopo tutto, nonostante tutto.

Clouds

 

Avrebbe potuto chiamarsi Nuvole, questa mostra. Le nuvole sono protagoniste di buona parte dell’ultima, intensa produzione di Debora Antonello. Una serie di dipinti a olio, acrilici, disegni, incisioni che colonizzano terreni diversi, germogliano sopra supporti che ora sono fogli vergini ora pagine già stampate e già lette, vissute, ingombre di storie e di storia. Tecniche che si fondono: i disegni e i ritocchi a mano si sovrappongono alle incisioni, le incisioni si innestano nei quadri; attorno ai quadri, come satelliti catturati dal loro campo gravitazionale, orbitano leggeri i disegni. È la consueta alchimia che caratterizza l’arte di Debora, una costellazione di formati, un dialogo fitto tra tecniche e linguaggi. La metafora tangibile di un’arte intesa come incontro tra differenze, ricerca ostinata di armonie sempre possibili: labili, a volte labilissime, per questo ancora più preziose.

 

Le nuvole di Debora assomigliano ad arcobaleni. Sono rapidi tocchi di luce, incontri di parentesi colorate. Apparizioni ultraterrene che portano vita in scenari spesso cupi. Ogni tanto si fermano e lasciano cadere gocce ristoratrici – ma accade secondo logiche imprevedibili: si sa che le nuvole vanno e vengono, e più spesso

«si mettono lì tra noi e il cielo / per lasciarci soltanto una voglia di pioggia».

L’artista ci ha pensato qualche giorno, alla questione del titolo di questa mostra. Poi ha deciso che Nuvole sarebbe stata una scelta troppo facile. Un po’ ruffiana, come certa poesia prêt-à-porter, quella che pare scritta con la consulenza dell’ufficio marketing. Ha preferito la poesia vera, quel verso di Rilke.

Per una di quelle strane coincidenze che tutto sembrano fuorché coincidenze, tra Rilke, l’arte e le nuvole c’è un nesso assai stretto e altrettanto significativo. Uno degli strani racconti dello scrittore austriaco, prose che oscillano tra la dimensione meditativa e l’apologo visionario, ha infatti per protagonista un “pittore di nuvole”. Così, fin dal titolo, viene definito Wladimir Lubowski. Scrive Rilke:

«A Wladimir Lubowski si arriva solo attraverso le sue opere. Egli infatti fuma tutti i suoi quadri. Tutto l’atelier è pieno di quel fumo denso e fantastico».

Chi si reca in visita da Lubowski si trova immerso tra nuvole di fumo che sono arte sublimata, vaporizzata. Mentre attende che l’artista si manifesti, perde la coscienza del tempo. Quando finalmente Lubowski comincia a parlare, pronuncia frasi lente e carezzevoli che con assoluta naturalezza rovesciano ogni luogo comune:

«Gli uomini guardano sempre a partire da Dio. Lo cercano in alto, nella luce che diventa più forte e fredda – [Fumo] - E Dio aspetta da un’altra parte, aspetta proprio al fondo di tutto. Giù. Dove ci sono le radici. Dove c’è caldo e buio».

Dal suo atelier immerso tra le nuvole dell’arte, il pittore invita gli ospiti a tornare sulla terra.

 

Per una di quelle strane coincidenze che tutto sembrano fuorché coincidenze, Guardo il cielo, vedo la terra è il nome che Debora ha attribuito a un’altra sua collezione. Una serie che dà forma e voce al dialogo segreto tra gli elementi naturali, costituita da piccoli prodigi d’equilibrio: lavori giocati sul piano intimo dello stupore e della grazia – che Debora, come Rilke, intende nel senso più alto, evitando d’istinto la scorciatoia del “grazioso”. Verrebbe da scomodare Paul Klee, la sua levità e il suo intuito da rabdomante, quello sguardo limpido, affascinato dai nessi profondi che si nascondono dietro il dato naturale.

Nell’arte di Debora il dialogo tra gli elementi appare così fitto che i piani si confondono. A volte dentro le nuvole si scopre la terra e nella terra accade di trovare il cielo. Ma terra e cielo si incontrano in ogni albero, in ogni creatura che popola questo mondo. È la vertigine della creazione. Scrive ancora Rilke:

«Chiunque tu sia: esci la sera / dalla tua stanza ove sai ogni cosa; / […] Con i tuoi occhi stanchi che a fatica / si staccano dalla soglia consunta, / sollevi lentamente un albero nero / e lo metti davanti al cielo: snello, solo. / E hai fatto il mondo».

Bereshit

בראשית Bereshit (In principio)

 “Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l'asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l'asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona”.

Il termine Pangea non può che riportare alle prime parole delle Bibbia, Bereshit (In principio) e al testo della Genesi. Quest'opera è una riflessione attraverso una scacchiera, i cui lati rappresentano le quattro direzioni, che simboleggia, da un punto di vista macrocosmico il mondo e da un punto di vista microcosmico la mappa dello spirito in continua evoluzione.

In questa installazione a parlare sono gli archetipi (formule primordiali, da archè=principio, typos=forma, immagine) che prendono voce nei miti, nelle favole, nelle leggende e che, giocando fra loro, hanno costruito la nostra Memoria Collettiva. L'artista mette in scena ciò che l'archetipo ha sempre recitato di nascosto, dietro le quinte dell'Umanità, alzando il sipario ci svela la sua potenza e la sconcertante contemporaneità. Anziché lasciarlo danzare nell'inconscio ne cattura l'essenza facendolo riaffiorare e interagire con gli elementi della Natura: pietra, terra, fuoco, vento, acqua.

Un valzer la cui pista da ballo sono caselle bianche e nere, luce e tenebre, vuoto e pieno.

Toscana

Questa serie parla di visioni, tra cipressi, vigne, querce e ulivi. Isolata e immersa nel verde delle colline toscane l'artista  abita gli elementi vitali,  la terra, le pietre, il cielo, le nuvole, la vite, il ciliegio...e poi il vento e lo scorrere dell'acqua. In una dimensione intima, spirituale.

Terre d'acqua

In occasione dalla mostra per il Festival della Bonifica a Portogruaro nella Sala delle Colonne, l'artista ha creato un'opera sull'acqua.

L'installazione è un percorso che parte dalle acque, attraversa terre ed innesti. Incontra il lavoro dell'uomo e culmina in culle, la Creazione.

Le opere sono costruite con legno, gesso, cemento, tubi, carta, materiale di recupero del lavoro e della vita dell uomo.



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Io saprò aspettarti

Immersa nell'acqua, sospesa, alla ricerca di un equilibrio fragile e precario, come del resto è l'uomo stesso da sempre in bilico tra anima e corpo, lavoro e natura, ragione e istinto, l'opera esplora il sé e l’altro da sé. Cerca l’integrazione fra consistenza terrestre e proiezione celeste, ovvero fra la materia e lo spirito. Vagare dunque, alla ricerca incessante della perfezione, compiendo errori che talvolta vanificano l’intento e il raggiungimento dello scopo. Questa è la condizione più autentica dell’essere umano: la dimensione del comprendere la compresenza dei diversi elementi, che anche se apparentemente in opposizione convivono e generano l’energia vitale. Innescano brucianti discese nell’ oscurità e sublimi trasmutazioni. Ricerca o fuga? Immersione o emersione? Dagli abissi dell’essere verso una consapevolezza compiuta, attraversano la semplice coscienza del proprio esistere. L'uomo, assetato di tutto, più di tutto, cerca nel tutto: passione, fuoco e amore. L'installazione è creata con legno, gesso, cemento, tubi, carta, materiale di recupero provenienti dal lavoro e dalla vita dell’uomo,olio su tela.

Ranocchio

Ranocchio è un inbook speciale realizzato dalla casa editrice Storie Cucite  in collaborazione con l’Associazione Arca Comunità l'Arcobaleno di Bologna. Un adattamento de Il libro della giungla scritto e tradotto da Garrulo Pappo, il gruppo di scrittura costituito dai ragazzi ospiti della comunità Arca Arcobaleno e illustrato dall’artista veneta Debora Antonello.

Le illustrazioni sono realizzate con tecniche miste, acquarello, china, matite, collage. In ogni opera c'è un elemento dei disegni eseguiti dai ragazzi dell'Associazione Arca.

Sentinelle

Ferme, immobili, fragili e immortali allo stesso tempo. Il mio corpo non ha radici, ma non può rimanere imbelle di fronte alla loro magia. Un incantesimo che fonde l'equilibrio armonico con la caducità dei ricordi. Gesso e memoria sono i custodi di questo segreto. “Parlare con voi è necessario e impossibile. Urgente in questa vita frettolosa e rimandato a mai.” (W.S )