Clouds

Clouds

 

Avrebbe potuto chiamarsi Nuvole, questa mostra. Le nuvole sono protagoniste di buona parte dell’ultima, intensa produzione di Debora Antonello. Una serie di dipinti a olio, acrilici, disegni, incisioni che colonizzano terreni diversi, germogliano sopra supporti che ora sono fogli vergini ora pagine già stampate e già lette, vissute, ingombre di storie e di storia. Tecniche che si fondono: i disegni e i ritocchi a mano si sovrappongono alle incisioni, le incisioni si innestano nei quadri; attorno ai quadri, come satelliti catturati dal loro campo gravitazionale, orbitano leggeri i disegni. È la consueta alchimia che caratterizza l’arte di Debora, una costellazione di formati, un dialogo fitto tra tecniche e linguaggi. La metafora tangibile di un’arte intesa come incontro tra differenze, ricerca ostinata di armonie sempre possibili: labili, a volte labilissime, per questo ancora più preziose.

 

Le nuvole di Debora assomigliano ad arcobaleni. Sono rapidi tocchi di luce, incontri di parentesi colorate. Apparizioni ultraterrene che portano vita in scenari spesso cupi. Ogni tanto si fermano e lasciano cadere gocce ristoratrici – ma accade secondo logiche imprevedibili: si sa che le nuvole vanno e vengono, e più spesso

«si mettono lì tra noi e il cielo / per lasciarci soltanto una voglia di pioggia».

L’artista ci ha pensato qualche giorno, alla questione del titolo di questa mostra. Poi ha deciso che Nuvole sarebbe stata una scelta troppo facile. Un po’ ruffiana, come certa poesia prêt-à-porter, quella che pare scritta con la consulenza dell’ufficio marketing. Ha preferito la poesia vera, quel verso di Rilke.

Per una di quelle strane coincidenze che tutto sembrano fuorché coincidenze, tra Rilke, l’arte e le nuvole c’è un nesso assai stretto e altrettanto significativo. Uno degli strani racconti dello scrittore austriaco, prose che oscillano tra la dimensione meditativa e l’apologo visionario, ha infatti per protagonista un “pittore di nuvole”. Così, fin dal titolo, viene definito Wladimir Lubowski. Scrive Rilke:

«A Wladimir Lubowski si arriva solo attraverso le sue opere. Egli infatti fuma tutti i suoi quadri. Tutto l’atelier è pieno di quel fumo denso e fantastico».

Chi si reca in visita da Lubowski si trova immerso tra nuvole di fumo che sono arte sublimata, vaporizzata. Mentre attende che l’artista si manifesti, perde la coscienza del tempo. Quando finalmente Lubowski comincia a parlare, pronuncia frasi lente e carezzevoli che con assoluta naturalezza rovesciano ogni luogo comune:

«Gli uomini guardano sempre a partire da Dio. Lo cercano in alto, nella luce che diventa più forte e fredda – [Fumo] - E Dio aspetta da un’altra parte, aspetta proprio al fondo di tutto. Giù. Dove ci sono le radici. Dove c’è caldo e buio».

Dal suo atelier immerso tra le nuvole dell’arte, il pittore invita gli ospiti a tornare sulla terra.

 

Per una di quelle strane coincidenze che tutto sembrano fuorché coincidenze, Guardo il cielo, vedo la terra è il nome che Debora ha attribuito a un’altra sua collezione. Una serie che dà forma e voce al dialogo segreto tra gli elementi naturali, costituita da piccoli prodigi d’equilibrio: lavori giocati sul piano intimo dello stupore e della grazia – che Debora, come Rilke, intende nel senso più alto, evitando d’istinto la scorciatoia del “grazioso”. Verrebbe da scomodare Paul Klee, la sua levità e il suo intuito da rabdomante, quello sguardo limpido, affascinato dai nessi profondi che si nascondono dietro il dato naturale.

Nell’arte di Debora il dialogo tra gli elementi appare così fitto che i piani si confondono. A volte dentro le nuvole si scopre la terra e nella terra accade di trovare il cielo. Ma terra e cielo si incontrano in ogni albero, in ogni creatura che popola questo mondo. È la vertigine della creazione. Scrive ancora Rilke:

«Chiunque tu sia: esci la sera / dalla tua stanza ove sai ogni cosa; / […] Con i tuoi occhi stanchi che a fatica / si staccano dalla soglia consunta, / sollevi lentamente un albero nero / e lo metti davanti al cielo: snello, solo. / E hai fatto il mondo».